martedì 28 ottobre 2014

L'inferno di Treblinka, un libro terribile

E’ il 1944 quando il corrispondente di guerra russo Vasilij Brossman scrive “L’inferno di Treblinka”, il frutto dell’unione di decine di testimonianze  che raccontano di quanto di più agghiacciante avvenisse tra le mura del piccolo campo di sterminio che sorse nei pressi della sperduta stazione di Treblinka, nella Polonia più selvaggia e inaccessibile, e che secondo le intenzioni di chi lo costruì sarebbe dovuto rimanere un segreto, per sempre .

“ Nel suo inferno Dante non le vide, scene come queste”

L’inferno di Treblinka è un libretto di un’ottantina di pagine, ma racchiude così tanto marciume, follia e scene insane che mi ci è voluta una settimana per finirlo, dopo una quindicina di pagine non avevo più voglia di andare avanti e lo abbandonavo per un po’ senza nessuna voglia di riprenderlo in mano.

Questo non perché sia noioso, intendiamoci,  Grossman prende per mano il lettore e lo scaraventa nel cuore del delirio nazista in poche pagine, descrivendo con minuzia di particolari ogni aspetto della produzione della macchina di morte, anche se dedica un’attenzione particolare al tratteggio dei carcerieri e le loro personalità che definire malate sarebbe troppo poco.

“Tutti questi esseri non avevano nulla di umano. Cervello, cuore e anima, parole, gesti e abitudini erano deformati, un’orrenda caricatura che ricordava a stento tratti, pensieri, sentimenti, abitudini e gesti umani”

A Treblinka infatti si trovavano alcuni tra gli elementi più spostati e sadici dell’esercito tedesco, difficile dire se fossero impazziti proprio a causa di ciò che vi vedevano ogni giorno o fossero stati mandati la apposta per le loro qualità. C’era chi veniva preso da risa incontrollabili ogni volta che vedeva un essere umano morire, chi riusciva ad uccidere una decina di bambini in pochi minuti con un martello, chi si appostava nella discarica del lager ammazzando senza cerimonie quelli che andavano tra la spazzatura alla ricerca di cibo.

Tutte queste creature agivano per un motivo ben preciso, che a Grossman appare chiaro, questi erano atteggiamenti  “sviluppatisi nell’embrione dello sciovinismo germanico, dalla boria, dall’egoismo, dalla baldanza autocompiaciuta, dalla sollecitudine pedante, bavosa verso il proprio nido, e dalla ferrea, algida indifferenza per la sorte di qualunque essere vivente, dalla convinzione cieca e ottusa che al mondo non potesse esserci nulla di più bello e perfetto della scienza, della musica, della poesia e della lingua tedesche, dei giardinetti, dei water, del cielo, della birra e degli edifici tedeschi”

La possibilità di rinchiudere uomini e donne in vagoni merci sovraffollati raccontando loro che avrebbero lavorato, far trovare una bella stazione con una vera orchestra che li attendeva e poi condurli con calma nelle camere a gas diventava spaventosamente plausibile sotto la spinta di un nazionalismo così feroce , che in pochi anni “è cresciuto da balbettio infantile a pericolo mortale per il genere umano”.

Nel  libro viene descritta anche la marcia dei “cadaveri ancora vivi” dal treno con cui arrivano al campo fino alla morte nelle camere a gas, il progressivo annullamento della loro volontà e umanità con violenze ferocissime e apparentemente insensate, ordini che sembrano schiaffi.

 Tutto, nel libro, è tremendamente evocativo e tangibile, entriamo letteralmente nella testa e nei pensieri di quelle persone e ci chiediamo cosa riusciremmo a sopportare di tutto questo se ci trovassimo al loro posto, niente è più straziante dei tentativi di ribellione dei prigionieri senza nome, che con mezzi di fortuna  come coltelli o le armi stesse dei carcerieri cercavano di portare con se quanti più soldati SS possibile, a quel punto la morte era la più preferibile delle punizioni.

L’unico problema di Grossman è, a mio parere, il suo non essere completamente oggettivo.
Spesso mi viene il dubbio che tenda ad esaltare più del dovuto le azioni belliche russe.
Di contro le descrizioni degli ambienti resi come malati dall’influsso di Treblinka sono efficaci e rimarranno nella mente del lettore, come il bosco pieno di cadaveri semi-sepolti e imputriditi infestato da enormi mosconi o l’apparente calma dello spiazzo di terra coltivata con cui i tedeschi in fuga hanno tentato di nascondere i resti del campo, ma che cela a pochi centimetri di profondità oggetti personali delle vittime lasciati li in fretta e furia.
Il memoriale di Treblinka

Come detto sopra questo libro contiene scene più che disturbanti e molto esplicite, non leggetelo a meno di non avere lo stomaco abbastanza forte.




4 commenti:

  1. Certamente uno dei tuoi migliori articoli

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  2. Se qualcuno volesse approfondire, consiglio libri come "In Nome dei Miei" di Martin Gray, uno dei pochi che riuscì a scappare da Treblinka.
    P.S
    Bellissimo articolo!

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    1. Grazie del complimento e del consiglio :)
      "In nome dei Miei" lo cercherò di sicuro, dato che mi piacerebbe approfondire le mie conoscenze su Treblinka e sui lager in generale.

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