E’ il 1944 quando il corrispondente di guerra russo
Vasilij Brossman scrive “L’inferno di Treblinka”, il frutto dell’unione di
decine di testimonianze che raccontano
di quanto di più agghiacciante avvenisse tra le mura del piccolo campo di
sterminio che sorse nei pressi della sperduta stazione di Treblinka, nella
Polonia più selvaggia e inaccessibile, e che secondo le intenzioni di chi lo
costruì sarebbe dovuto rimanere un segreto, per sempre .
“ Nel suo inferno Dante non le vide, scene come queste”
L’inferno di Treblinka è un libretto di un’ottantina di
pagine, ma racchiude così tanto marciume, follia e scene insane che mi ci è
voluta una settimana per finirlo, dopo una quindicina di pagine non avevo più
voglia di andare avanti e lo abbandonavo per un po’ senza nessuna voglia di
riprenderlo in mano.
Questo non perché sia noioso, intendiamoci, Grossman prende per mano il lettore e lo
scaraventa nel cuore del delirio nazista in poche pagine, descrivendo con
minuzia di particolari ogni aspetto della produzione della macchina di morte,
anche se dedica un’attenzione particolare al tratteggio dei carcerieri e le
loro personalità che definire malate sarebbe troppo poco.
“Tutti questi esseri non avevano nulla di umano.
Cervello, cuore e anima, parole, gesti e abitudini erano deformati, un’orrenda
caricatura che ricordava a stento tratti, pensieri, sentimenti, abitudini e
gesti umani”
A Treblinka infatti si trovavano alcuni tra gli elementi
più spostati e sadici dell’esercito tedesco, difficile dire se fossero
impazziti proprio a causa di ciò che vi vedevano ogni giorno o fossero stati
mandati la apposta per le loro qualità. C’era chi veniva preso da risa
incontrollabili ogni volta che vedeva un essere umano morire, chi riusciva ad
uccidere una decina di bambini in pochi minuti con un martello, chi si
appostava nella discarica del lager ammazzando senza cerimonie quelli che andavano
tra la spazzatura alla ricerca di cibo.
Tutte queste creature agivano per un motivo ben preciso,
che a Grossman appare chiaro, questi erano atteggiamenti “sviluppatisi nell’embrione dello sciovinismo
germanico, dalla boria, dall’egoismo, dalla baldanza autocompiaciuta, dalla
sollecitudine pedante, bavosa verso il proprio nido, e dalla ferrea, algida
indifferenza per la sorte di qualunque essere vivente, dalla convinzione cieca
e ottusa che al mondo non potesse esserci nulla di più bello e perfetto della
scienza, della musica, della poesia e della lingua tedesche, dei giardinetti,
dei water, del cielo, della birra e degli edifici tedeschi”
La possibilità di rinchiudere uomini e donne in vagoni
merci sovraffollati raccontando loro che avrebbero lavorato, far trovare una
bella stazione con una vera orchestra che li attendeva e poi condurli con calma
nelle camere a gas diventava spaventosamente plausibile sotto la spinta di un
nazionalismo così feroce , che in pochi anni “è cresciuto da balbettio infantile
a pericolo mortale per il genere umano”.
Nel libro viene
descritta anche la marcia dei “cadaveri ancora vivi” dal treno con cui arrivano
al campo fino alla morte nelle camere a gas, il progressivo annullamento della
loro volontà e umanità con violenze ferocissime e apparentemente insensate,
ordini che sembrano schiaffi.
Tutto, nel libro, è tremendamente evocativo e tangibile, entriamo letteralmente nella testa e nei pensieri di quelle persone e ci chiediamo cosa riusciremmo a sopportare di tutto questo se ci trovassimo al loro posto, niente è più straziante dei tentativi di ribellione dei prigionieri senza nome, che con mezzi di fortuna come coltelli o le armi stesse dei carcerieri cercavano di portare con se quanti più soldati SS possibile, a quel punto la morte era la più preferibile delle punizioni.
Tutto, nel libro, è tremendamente evocativo e tangibile, entriamo letteralmente nella testa e nei pensieri di quelle persone e ci chiediamo cosa riusciremmo a sopportare di tutto questo se ci trovassimo al loro posto, niente è più straziante dei tentativi di ribellione dei prigionieri senza nome, che con mezzi di fortuna come coltelli o le armi stesse dei carcerieri cercavano di portare con se quanti più soldati SS possibile, a quel punto la morte era la più preferibile delle punizioni.
L’unico problema di Grossman è, a mio parere, il suo non
essere completamente oggettivo.
Spesso mi viene il dubbio che tenda ad esaltare più del
dovuto le azioni belliche russe.
Di contro le descrizioni degli ambienti resi come malati
dall’influsso di Treblinka sono efficaci e rimarranno nella mente del lettore,
come il bosco pieno di cadaveri semi-sepolti e imputriditi infestato da enormi
mosconi o l’apparente calma dello spiazzo di terra coltivata con cui i tedeschi
in fuga hanno tentato di nascondere i resti del campo, ma che cela a pochi
centimetri di profondità oggetti personali delle vittime lasciati li in fretta
e furia.
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Il memoriale di Treblinka |
Come detto sopra questo libro contiene scene più che
disturbanti e molto esplicite, non leggetelo a meno di non avere lo stomaco
abbastanza forte.