La stanza era piccola e spoglia, un tavolino di legno e
due sgabelli erano sistemati sul lato a destra più lontano dalla porta, dal
lato opposto c’erano i resti di un fuoco, alcuni ciocchi di legno annerito
immersi nella cenere, al centro della stanza, sul pavimento, c’era un piccolo
tappeto dal colore rosso sbiadito.
Di fianco alla porta c’era un piccolo baule, l’uomo si
chinò e lo aprì, estraendo una grossa candela e un acciarino –Siediti- disse al
ragazzino indicando le sedie con la punta della candela, lui lo guardò in volto
e si diresse verso il centro della camera, si mise in piedi sul tappeto,
osservando il corridoio scuro e stretto.
-Hai fame?- chiese l’uomo girandosi verso il ragazzino
–Ehi, stai lontano da li- disse, estrasse dal baule un paio di pagnotte e una
mezza forma di formaggio, si alzò e si diresse al tavolino, appoggiò il cibo.
Il ragazzo fissava il corridoio con gli occhi spalancati,
all’uomo sembrò quasi che non respirasse.
-Su vieni- disse l’uomo prendendolo per il braccio scarno
e conducendolo alla sedia –Dobbiamo mangiare in fretta, poi spegnere le luci, o
ci troveranno-
Fece sedere il ragazzino e si sedette a sua volta, gli
allungò una pagnotta ed estrasse il coltello con cui tagliò un paio di fette di
formaggio –Ti devono bastare- disse mentre tagliava –Ma non ti preoccupare,
presto verranno a salvarci - detto questo diede un morso alla pagnotta e si
mise a masticarla con foga.
Il ragazzo diede un’occhiata alla cena come si guarda un
sasso, poi tirò indietro la sedia e tornò al centro della stanza, a fissare il
corridoio.
L’uomo si alzò di scatto e la sedia cadde a terra
sbattendo –Oh, forza! Ma che guardi?-
Gli afferrò un braccio e lo tirò, ma gli sembrò di muovere un macigno.
Dal fondo del corridoio venne un gemito attutito, poi un
colpo di tosse. Il ragazzino partì ad ampi passi e si inoltrò nell’ombra
–Fermati!- urlò l’uomo tirando la camicia del ragazzino, lui non si fermava,
l’uomo lo afferrò per le spalle gracili–Fermo, fermo, fermo- diceva, e ad ogni
parola tirava più che poteva, ma non serviva a niente.
Il ragazzo raggiunse la porta di legno in fondo al
corridoio, l’uomo lo scavalcò e si mise in mezzo urlandogli di fermarsi, erano
più guaiti rotti da accessi di pianto isterico che parole.
L’uomo cercava un contatto visivo con il ragazzo, ma lui
guardava solo davanti a se, all’altezza del suo petto, fu spostato da un tocco
leggero con la schiena appoggiata alla parete laterale del corridoio.
L’uomo sentì la porta aprirsi cigolando, avrebbe giurato
di averla chiusa a chiave.
Il volto del ragazzo si illuminò della luce danzante di
una candela, dalla stanza venivano dei rantoli intermittenti e un gran puzzo di
vomito e merda, ma lui sembrava non sentirli, varcò la soglia.
Dopo un attimo di intontimento l’uomo entrò nella stanza
ansimando. Vide ciò per cui aveva urlato, sua moglie era a terra, stesa sul
fianco nella loro direzione, i polsi legati dietro la schiena così come le
caviglie.
Davanti al volto della donna, poggiato con la guancia sul
pavimento, vi era una pozza di vomito chiaro, i capelli ne erano impregnati, la
tunica da notte bianca era sporca di escrementi e lacera.
La creatura respirava a fatica, il suo volto sofferente
era attraversato da strani ghigni e smorfie nel sonno, gli occhi si muovevano a
scatti sotto le palpebre.
Il ragazzo alzò il braccio destro con l’indice puntato
sulla donna a terra, un globo di luce azzurra grande come la capocchia di uno
spillo brillava sulla punta dell’unghia, illuminando tutta la stanza.
-Fermo- disse l’uomo mettendosi in mezzo – Non ucciderla,
può guarire!-
Il ragazzo scosse la testa lentamente, la sfera divenne
grande quanto una mela in un istante.
-Ti prego- disse l’uomo prendendo il braccio teso del
ragazzo con delicatezza, il volto era sconvolto dal pianto e gli occhi rossi
–Lasciamela portare via, poi farai quello che vuoi con gli altri-
L’uomo urlò, poi strinse i denti singhiozzando, si voltò
lentamente verso la donna, la sua bocca era serrata intorno alla caviglia, i
denti incidevano la carne.
L’uomo tornò a fissare il ragazzo con il volto scosso
dagli spasmi, lei continuava a morderlo, quando si ritrasse con un pezzo della
sua carne in bocca sghignazzò sommessamente.
L’uomo crollò a terra con la caviglia che sprizzava
sangue, il voltò del ragazzo ne fu inondato, la donna rise istericamente
mostrando la carne triturata tra i denti.
-Hai visto, servo?- Disse gorgogliando- Abbiamo ucciso
una città intera, sono tutti nostri-
Il ragazzo la guardò storcendo la bocca, non si mosse.
-Anche adesso sento che si dibatte- disse la creatura a terra- Sapessi quanto
confidava in voi, sapessi quanto l’avete delusa lasciandoci prendere il
controllo della sua mente senza fare nulla.
-Rebeq- Urlò l’uomo alzandosi in ginocchio, aveva il
coltello in mano, la lama riluceva di azzurro –Mi senti?- disse avvicinandosi
strisciando alla donna legata che fissava la lama del coltello con occhi
spalancati e sibilando –E’ arrivato, Rebeq- Urlò l’uomo, gli sfuggì un gemito,
si portò a fianco della donna e calò la lama sul petto, conficcandola nello
sterno.
Il corpo della donna si tese, ogni muscolo si contrasse,
poi dagli occhi uscì una nube scura, entrò in quelli dell’uomo che fece un
ghigno mostruoso.
-Grazie- disse lei in un soffio, poi gli si rivoltarono
gli occhi e franò sul pavimento senza più vita.
Ora era l’uomo a ghignare selvaggiamente, si voltò verso
il ragazzo e ruggendo gli si avvicinò, lui gli puntò la sfera luminosa in viso,
che esplose in un’onda azzurra.
Anche l’uomo cadde con la schiena a terra nella pozza del
proprio sangue e rimase immobile a terra.
Dagli occhi spalancati uscì del fumo nero, poi si
chiusero, il ragazzo mise la mano con il palmo aperto davanti a se, il miasma
vi fu risucchiato.
Il volto del ragazzo si tese e gli occhi si arrossarono,
lui li chiuse e mormorò qualcosa, il viso tornò disteso e fanciullesco, gli
occhi limpidi e rilassati, ma non come prima, ora sembrava più adulto, come se
sulla sua faccia fossero passati alcuni anni.
L’uomo tossì, si
girò su un fianco e aprì gli occhi, si alzò in ginocchio, poi in piedi, si
guardò la caviglia e la vide intatta. La tunica era inzuppata del suo sangue
dal collo ai piedi, diede un’occhiata al corpo di Rebeq a terra, gli occhi
della donna erano chiusi delicatamente, le labbra erano curvate in un leggero
sorriso.
L’uomo si voltò verso il ragazzo, ora le loro teste erano
quasi alla stessa altezza ,ma lui non riuscì a guardarlo negli occhi –Mi
dispiace, mi sono comportato come uno sciocco con voi- farfugliò.
Il ragazzo lo prese per il braccio con delicatezza e lo
accompagnò lentamente attraverso il corridoio, nella stanza del tavolo e del
baule, illuminata dalla candela.
L’uomo guardò il pane e il formaggio, e rabbrividì
pensando a chi era stato al tavolo con lui.
I suoi pensieri furono spazzati via dalle urla e dagli
strilli fuori dalla porta, lui cercò il coltello ma non lo trovò, si nascose d’istinto
dietro il ragazzo.
-Vai- disse una voce profonda e potente- Prendi il mio
cavallo e scappa il più lontano possibile, distruggerò ogni cosa.
L’uomo si scostò, tremava come un vecchio, si precipitò
al tavolo e prese il cibo, nascondendolo in una tasca interna della tunica, poi
si voltò verso il ragazzo, non osò guardarlo in volto – Ti ringrazio- Disse.
La porta fu scossa da un colpo, poi da un altro, sembrava
che qualcuno si lanciasse contro il legno senza curare dell’integrità del
proprio corpo, era sicuramente così. Al terzo schianto la porta si aprì, il
ragazzo corse in avanti con la mano alzata, un’ondata di luce azzurra investì
le due creature scheletriche e sgraziate sulla soglia, che lanciarono grida
disumane.
L’uomo uscì nell’aria fresca del crepuscolo scansando i
cadaveri in pose innaturali a terra, montò sul ronzino con un balzo e si voltò
verso la porta, il ragazzo dall’uscio lanciò una sfera verso il cavallo, che
ora brillava nell’oscurità. La bestia si lanciò nell’oscurità del vicolo
illuminandolo di luce bianca, travolgendo ogni ossesso sulla sua strada sotto
gli zoccoli, l’uomo si reggeva tremando alle redini, chino sulla sella.
Giunti sulla via principale, il cavallo girò a sinistra,
ora gli ossessi sembravano temerlo, si scostavano dalla sua strada, l’uomo vide
uomini che conosceva fin da bambino soffiargli in faccia come gatti isterici o
tentare di afferrargli i piedi, respinti dalla barriera luminosa che lo
proteggeva.
Uomo e animale varcarono il portone in volata,
inoltrandosi nella landa desertica e oscura.
Aveva cavalcato tutta la notte, prima nella grande strada
polverosa che correva dritta attraverso il paesaggio piatto e deserto, poi era
arrivato alle pendici delle colline, allora erano iniziate le mulattiere poco
battute e sassose, il cavallo camminava in bilico su strapiombi sempre più
scuri e alti.
Ad un certo punto, nel cuore della notte e lungo una di queste
strade mortali, l’uomo si accorse di avere le palpebre pesanti, si aggrappò al
crine dell’animale e vi nascose il volto dolorante per le sferzate del vento
gelido.
Si addormentò pregando di non cadere negli abissi.
L’uomo si risvegliò di soprassalto alle prime luci
dell’alba, aveva sognato di cadere e la vista delle colline coperte di ulivi
che degradavano verso il basso lo fece piangere di gioia
Alzò lo sguardo e scrutò la valle davanti a lui, c’era un
villaggio, una manciata di casette cubiche e bianche strette intorno a una
torre bassa e tozza. L’uomo urlò di gioia.
In quell’istante
tutti gli ulivi si piegarono in avanti. L’uomo e il cavallo furono sbattuti a
terra da un vento potente come il pugno di un gigante. Un’ondata di polvere e
sassi li investì. L’uomo urlò ma non sentì la propria voce, rotolò per decine
di metri lungo il pendio roccioso, i sassi gli si infilavano nella carne, batté
la testa scontrò qualcosa di duro, poi il dolore ebbe fine.
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