martedì 28 ottobre 2014

L'inferno di Treblinka, un libro terribile

E’ il 1944 quando il corrispondente di guerra russo Vasilij Brossman scrive “L’inferno di Treblinka”, il frutto dell’unione di decine di testimonianze  che raccontano di quanto di più agghiacciante avvenisse tra le mura del piccolo campo di sterminio che sorse nei pressi della sperduta stazione di Treblinka, nella Polonia più selvaggia e inaccessibile, e che secondo le intenzioni di chi lo costruì sarebbe dovuto rimanere un segreto, per sempre .

“ Nel suo inferno Dante non le vide, scene come queste”

L’inferno di Treblinka è un libretto di un’ottantina di pagine, ma racchiude così tanto marciume, follia e scene insane che mi ci è voluta una settimana per finirlo, dopo una quindicina di pagine non avevo più voglia di andare avanti e lo abbandonavo per un po’ senza nessuna voglia di riprenderlo in mano.

Questo non perché sia noioso, intendiamoci,  Grossman prende per mano il lettore e lo scaraventa nel cuore del delirio nazista in poche pagine, descrivendo con minuzia di particolari ogni aspetto della produzione della macchina di morte, anche se dedica un’attenzione particolare al tratteggio dei carcerieri e le loro personalità che definire malate sarebbe troppo poco.

“Tutti questi esseri non avevano nulla di umano. Cervello, cuore e anima, parole, gesti e abitudini erano deformati, un’orrenda caricatura che ricordava a stento tratti, pensieri, sentimenti, abitudini e gesti umani”

A Treblinka infatti si trovavano alcuni tra gli elementi più spostati e sadici dell’esercito tedesco, difficile dire se fossero impazziti proprio a causa di ciò che vi vedevano ogni giorno o fossero stati mandati la apposta per le loro qualità. C’era chi veniva preso da risa incontrollabili ogni volta che vedeva un essere umano morire, chi riusciva ad uccidere una decina di bambini in pochi minuti con un martello, chi si appostava nella discarica del lager ammazzando senza cerimonie quelli che andavano tra la spazzatura alla ricerca di cibo.

Tutte queste creature agivano per un motivo ben preciso, che a Grossman appare chiaro, questi erano atteggiamenti  “sviluppatisi nell’embrione dello sciovinismo germanico, dalla boria, dall’egoismo, dalla baldanza autocompiaciuta, dalla sollecitudine pedante, bavosa verso il proprio nido, e dalla ferrea, algida indifferenza per la sorte di qualunque essere vivente, dalla convinzione cieca e ottusa che al mondo non potesse esserci nulla di più bello e perfetto della scienza, della musica, della poesia e della lingua tedesche, dei giardinetti, dei water, del cielo, della birra e degli edifici tedeschi”

La possibilità di rinchiudere uomini e donne in vagoni merci sovraffollati raccontando loro che avrebbero lavorato, far trovare una bella stazione con una vera orchestra che li attendeva e poi condurli con calma nelle camere a gas diventava spaventosamente plausibile sotto la spinta di un nazionalismo così feroce , che in pochi anni “è cresciuto da balbettio infantile a pericolo mortale per il genere umano”.

Nel  libro viene descritta anche la marcia dei “cadaveri ancora vivi” dal treno con cui arrivano al campo fino alla morte nelle camere a gas, il progressivo annullamento della loro volontà e umanità con violenze ferocissime e apparentemente insensate, ordini che sembrano schiaffi.

 Tutto, nel libro, è tremendamente evocativo e tangibile, entriamo letteralmente nella testa e nei pensieri di quelle persone e ci chiediamo cosa riusciremmo a sopportare di tutto questo se ci trovassimo al loro posto, niente è più straziante dei tentativi di ribellione dei prigionieri senza nome, che con mezzi di fortuna  come coltelli o le armi stesse dei carcerieri cercavano di portare con se quanti più soldati SS possibile, a quel punto la morte era la più preferibile delle punizioni.

L’unico problema di Grossman è, a mio parere, il suo non essere completamente oggettivo.
Spesso mi viene il dubbio che tenda ad esaltare più del dovuto le azioni belliche russe.
Di contro le descrizioni degli ambienti resi come malati dall’influsso di Treblinka sono efficaci e rimarranno nella mente del lettore, come il bosco pieno di cadaveri semi-sepolti e imputriditi infestato da enormi mosconi o l’apparente calma dello spiazzo di terra coltivata con cui i tedeschi in fuga hanno tentato di nascondere i resti del campo, ma che cela a pochi centimetri di profondità oggetti personali delle vittime lasciati li in fretta e furia.
Il memoriale di Treblinka

Come detto sopra questo libro contiene scene più che disturbanti e molto esplicite, non leggetelo a meno di non avere lo stomaco abbastanza forte.




martedì 21 ottobre 2014

Bambino! un manga da divorare (semicit.)

Lavoro in una cucina, non esattamente una grande cucina di un ristorante, un po’ più modesta, molto più modesta ad essere sinceri.
Ultimamente ho deciso di cercare qualche manga o fumetto che parlasse di cucina, così, per  approfondire la mia visione del mondo in cui mi sono trovato a lavorare e  scoprire qualcosa di nuovo, tutto questo ovviamente cercando di divertirmi al tempo stesso.
Dopo qualche ricerca ho trovato qualcosa di veramente molto interessante, si tratta di Bambino! appunto, disegnato e scritto da Tetsuji Sekiya, un’opera di  15 volumi iniziata nel 2005 e conclusa nel 2009, che non è mai arrivata in Italia.

Le scan tradotte in italiano (con una professionalità rara tra l’altro) le trovate qui.
Bambino! è un seinen, un manga per adulti quindi, che potrebbe essere paragonato nella struttura a un romanzo di formazione, la storia infatti segue la crescita personale e lavorativa dell’ universitario giapponese Ban Shogo  all’interno del grande ristorante italiano chiamato Baccanale nel quartiere Roppongi a Tokyo

Il protagonista Ban è un tipo di personaggio abbastanza comune nel mondo dei manga, soprattutto in quelli per ragazzi, è determinato, a volte molto impulsivo nelle decisioni che prende, diretto e sincero.
Ovviamente questo non vuol dire che quello di Ban sia un personaggio banale, anzi, sono proprio queste caratteristiche che ti ci fanno affezionare e che gli permettono di resistere nel ristorante e andare avanti.
 Il percorso non sarà facile, Ban incontra grandi delusioni, viene criticato senza pietà da clienti e colleghi (e picchiato da alcuni di questi), affronta delle scelte pesanti per un ragazzo della sua età  e deve anche sostenere sfide sfibranti, tra cui un duello culinario contro la mafia italiana a New York dove rischierà anche la morte in caso di sconfitta.
Il personaggio diventa sempre più responsabile e saggio nel corso dell’opera, crescendo e affrontando nuove difficoltà.
Anche i personaggi secondari sono approfonditi e ben caratterizzati, alcuni di loro hanno alle spalle storie drammatiche non banali, che li porteranno a porsi in modo avverso o amichevole a Ban.
Il primo magico incontro con lo chef


Il Baccanale è rappresentato con grande precisione , è un ristorante vivo e pulsante, pieno zeppo di personaggi interessanti che interagiscono tra loro e che lo rendono  reale.
Viene mostrata alla perfezione la caoticità della cucina in un ristorante di successo , definita spesso come “un campo di battaglia” i cuochi gridano e insultano senza pietà  chi sbaglia, fronteggiando orde di avventori affamati, la frenesia tra i fornelli si contrappone all’apparente calma della sala, dove i camerieri si si prendono cura dei clienti sfoggiando ognuno uno stile diverso 
Ecco cosa succede se sbagli a tagliare gli asparagi
.

La qualità del disegno si mantiene  sempre alta, mi ha colpito in particolare la grande dinamicità delle vignette che rappresentano le azioni in cucina, con un grande uso delle linee cinetiche e tagli che ricordano gli shonen di combattimento.

 Bambino! ha anche la qualità, non banale, di saper far appassionare al cibo e ai sapori ,mette voglia di saperne sempre di più, inoltre è godibile da chiunque, anche da chi di cucina non sa assolutamente niente.





martedì 14 ottobre 2014

Battle Royale,di Koushun Takami

Trama
“Nella "Repubblica della Grande Asia", uno Stato totalitario geograficamente localizzato nel Giappone della realtà, vige il BR Act.
Secondo tale legge, ogni anno viene scelta tramite sorteggio una classe di terza media per partecipare al cosiddetto Programma.
Il gioco consiste in una lotta all'ultimo sangue in cui i giovani e sorpresi (perché tenuti all'oscuro di tutto, e trasportati sul posto con l'inganno) partecipanti devono impugnare l'arma, affidata loro a caso, contenuta in uno zaino e uccidersi a vicenda in un luogo scelto appositamente dal governo, precedentemente evacuato: in questa edizione si tratta di un'isola deserta e sconosciuta. Per costringerli a partecipare, tra i vari espedienti c'è un collare che fornisce al centro di controllo la posizione degli studenti e che esplode in caso di fuga o di ammutinamento.
L'obiettivo è che rimanga un solo superstite, l'unico che potrà fare ritorno a casa. Gli studenti sono 42, 21 maschi e 21 femmine.”
tratto da Wikipedia

Ho sentito parlare per la prima volta di Battle Royale ai tempi delle scuole medie, su una rivista che parlava di anime e manga in cui veniva presentato appunto il fumetto tratto dal romanzo, tra l’altro sceneggiato dall’autore stesso del libro, Koushun Takami.
Ricordo benissimo che non potei fare altro che pormi una domanda, cosa avrei fatto se mi fossi trovato in una situazione simile a quella dei protagonisti?
La risposta ovviamente era impossibile da trovare, mi piaceva discuterne con i miei amici, anche se al tempo, forse influenzati da Dragon Ball, ci sentivamo tutti invulnerabili ed eravamo  sicuri di poter superare qualcosa di simile.
Insomma, Battle Royale mi aveva colpito parecchio.
Purtroppo del manga non posso dire niente, non l’ho mai recuperato, anche se in futuro intendo farlo senza dubbio.
Un paio di buoni motivi per non farsi sfuggire il manga :3

Quello di cui voglio parlarvi è il libro da cui è stato tratto tutto, che ho apprezzato davvero tanto.
Battle Royale, che tra l’altro è il romanzo più venduto di sempre in Giappone, è uno di quei libri che ti danno un pugno allo stomaco quasi in ogni singolo capitolo.

La ragione di questo è semplice, l’empatia, ci viene raccontato attraverso pensieri e qualche “spiegone”, che in questo caso credo necessario, il passato e le ragioni che spingono ad andare avanti nel programma e a tentare di sopravvivere molti studenti e studentesse, facendoci tifare per loro per il semplice motivo che in qualche modo ci riconosciamo nelle loro paure o sentimenti.
Il punto di vista si sposta in ogni capitolo, dandoci modo di conoscere quasi ogni membro della classe, così come di assistere ad ogni morte che avviene, non ci viene risparmiato niente.
Ma com’è possibile che un ragazzino delle medie scelga di uccidere un suo coetaneo senza pietà?
 Lo spirito di sopravvivenza è forte, Homo omini lupus diceva il filosofo inglese Hobbes. L’uomo per la mera sopravvivenza  può uccidere senza pietà, se poi ci aggiungiamo un inquietante collare esplosivo e la paura folle di alcuni studenti più suscettibili, l’omicidio diventa una possibilità reale e concreta,  vedere questo processo in atto nelle menti dei ragazzi è sicuramente interessante, anche se orribile.
Non per tutti è così, ci sono anche mine vaganti come Kazuo Kiryama, una vera macchina di morte che non prova alcun sentimento e semina morte sui compagni (quasi) inermi con l'implacabile mitragliatore, Mitsuko Souma, una ragazza che seduce le vittime con la propria bellezza per poi ucciderle a tradimento quando meno se l’aspettano.
Ma nell’isola non c’è posto solo per la morte e la follia, anche l’amore ha una componente importante nella storia, l’amore puro, semplice e prepotente tipico della prima adolescenza, come quello che porta Hiroki Sugimura a percorrere un viaggio distruttivo alla ricerca della ragazza a cui non si è mai dichiarato. Probabilmente piangerete.
C’è anche chi continua ad avere fiducia, come Shuya, il protagonista, che decide di tentare una fuga che sembra impossibile con l’aiuto di Shogo Kawada e Noriko, sfidando il governo e le imposizioni categoriche che vengono dall’alto.

Ora è venuto il momento di parlare della scrittura in modo tecnico, come ho detto prima ci sono alcuni spiegoni che servono a presentare il passato di alcuni studenti per comprenderne meglio il comportamento, e qualche caso di POV ballerino, robetta insignificante ad ogni modo.
Le descrizioni dei luoghi o dei tratti fisici dei personaggi sono davvero di una precisione clinica e ben fatte.

In chiusura vi lascio quella che a mio parere è un po' la "colonna sonora" di questo libro, una canzone citata spesso dal protagonista Shuya, Born To Run di Bruce Springsteen.











sabato 11 ottobre 2014

Sodoma, parte 3


Per La Parte Precedente
Al principio fu buio, nero pece e nulla, poi si aprirono le fauci della bestia e l’antro immenso fu illuminato dal bagliore delle fiamme che divampavano nel profondo della sua gola.
L’uomo si accorse che qualcuno aveva appoggiato il capo sul suo petto, vedeva i suoi capelli lunghi e scuri illuminati dalla luce sfuggente, sentiva il suo profumo di erbe selvatiche. Quando la testa si sollevò guardandolo con occhi scuri dalle lunghe ciglia, lui rimase senza fiato, era Rebeq.
-Grazie Lot- disse in un soffio muovendo appena le labbra – Ma era troppo tardi-
L’uomo, Lot, scosse la testa stringendola più forte, era coperta con lo stesso vestito da notte sporco e rovinato con cui l’aveva vista l’ultima volta.
Sentiva che gli sfuggiva, come se qualcuno la tirasse da dietro, sotto di loro sentiva i rantoli della bestia con la gola in fiamme.
-Non lasciarmi- disse Rebeq –Mi sta chiamando- aggiunse con voce tremante.
Lot strinse più forte, sbirciò oltre la spalla sinistra della donna, verso il basso, un turbine di corpi umani nudi e urlanti venivano aspirati nella bocca del demone. Gli parve di intravedere i volti dei suoi amici e compagni di bevute, di suo fratello e sua sorella, di alcuni compagni di lavoro della fabbrica di mattoni.
-Non finirai la dentro, ti tengo- Disse Lot – E’ solo un sogno, basterà aspettare che finisca- Riusciva a tenere a malapena le dita intrecciate dietro la schiena della donna , sudava e gli girava la testa, gli sembrava che gli occhi di sua moglie fossero lontani centinaia di metri, anche se si trovavano solo a poche spanne dal suo viso.
 Lot stringeva i denti, sentiva il volto avvampare, si accorse di piangere.
- Ti prego Lot- Disse la donna guardandolo in viso, aveva le guance rigate dalle lacrime, che uscivano da quegli occhi così grandi e belli.
-Rebeq- Disse Lot in un ringhio, sentiva le braccia che pulsavano –Rebeq, non ce la faccio-
La donna scoppiò in un pianto disperato, il suo corpo era scosso dai singhiozzi,  ad ogni movimento che la donna faceva Lot sentiva le dita cedere sempre di più.
-Ti prego- Disse lui –Non piangere, non voglio…- Il dolore divampò, Lot urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni mentre le braccia si aprivano e il sangue sgorgava come un fiume in piena dai monconi delle sue dita.
La donna fu tirata verso il basso all’istante, come un sassolino lanciato da una fionda nella bocca della bestia oscena.
  Anche lui fu strappato via, ma verso l’alto. Lot entrò nella terra e la attraversò in un battito di ciglia fino ad aprire gli occhi e vedere un soffitto bianco e crepato.
Alzò di scatto il busto tirando via le pelli che lo ricoprivano, era su un letto  in una stanza stretta e bassa, illuminata da una finestra aperta da cui vedeva le foglie verdi e ampie di un fico.
Sul pavimento erano stesi su pelli di pecora altri due uomini, un vecchio con barba e capelli bianchi e la pelle scura, vestito di stracci e pieno di bende e un ragazzo senza neppure la barba e con la testa fasciata. Dormivano entrambi un sonno agitato contorcendosi e storcendo la bocca.
Lot era vestito con una tunica logora che sembrava un sacco con un paio di buchi per le braccia, la alzò e guardò sotto, era anche lui avvolto in bende sporche di sangue che era ora di cambiare.
L’uomo esaminò le proprie dita, c’erano ancora ma gli era difficile muoverle, come se fossero rimaste congelate, tenere il busto eretto gli faceva venire la nausea e girare la testa, si sdraiò appoggiando la testa nel cuscino.
Lot rimase li, tra il sonno e la veglia per molto tempo, guardava il soffitto su cui si formavano strane figure inconcepibili, ogni tanto era scosso dal pianto e prendeva a tremare se pensava al sogno.
Quando dalla finestra veniva la luce calda del tramonto ,la porta di legno davanti al letto si spalancò, entrò una donna alta e massiccia, dai lineamenti rozzi e i capelli crespi, la donna diede un’occhiata all’interno della stanza.
Il vecchio e il ragazzo erano ancora incoscienti, Lot spostò gli occhi su di lei e mentre la donna stava per richiudere la porta lui alzò il braccio.
-Ferma- disse con voce roca e debole –Portami fuori, ti prego-
Il donnone lo guardò stringendo gli occhietti, poi fece finta di non averlo sentito e chiuse la porta.
-Aspetta- Urlò Lot in un rantolo –Ti prego-
La porta si aprì cigolando, apparve di nuovo il grande volto- Taci straniero- Disse con voce bassa- pensa a recuperare le forze per andartene-
-Aiutami ad alzarmi- Disse Lot –Voglio vederla -
La donna restò sulla soglia a guardarlo per qualche secondo, poi annuì e gli venne incontro.
Lo tirò su facilmente, facendolo gemere, lo accompagnò reggendolo in piedi sulle gambe molli e indolenzite fino all’uscio della casa.
L’aria fresca lo fece rabbrividire, Lot alzò gli occhi al cielo.
L’enorme nuvola nera incombeva oltre colline, copriva un quarto del cielo e sembrava pulsare e dibattersi, c’erano degli strani bagliori rossi al suo interno che rumoreggiavano come la risata di un essere enorme e terribile.
-Si avvicina- disse la donna, Lot non disse nulla, non riuscì a guardare quella cosa a lungo –Dovete andarv…ene- disse respirando a fatica - Oppure… -quella vista gli aveva prosciugato le energie che gli rimanevano, sentiva la testa girare e presto avrebbe vomitato.
-Oppure diventeremo tutti mostri- Disse la donna -e ci mangeremo tra noi fino a quando qualche ministro di dio del cazzo non verrà a sterminarci- lo fece girare e tornare dentro.
-Sarebbe stato meglio non distruggere la tua città, ora non dovremmo scappare- Disse la donna –Mi dispiace per quei poveretti, ma sai com’è…-
-Taci, non sai di cosa parli- Disse Lot con un filo di voce –Ora riportami a letto- prese il respiro- ripartirò

presto.

giovedì 9 ottobre 2014

Sodoma, parte 2

La stanza era piccola e spoglia, un tavolino di legno e due sgabelli erano sistemati sul lato a destra più lontano dalla porta, dal lato opposto c’erano i resti di un fuoco, alcuni ciocchi di legno annerito immersi nella cenere, al centro della stanza, sul pavimento, c’era un piccolo tappeto dal colore rosso sbiadito.
Di fianco alla porta c’era un piccolo baule, l’uomo si chinò e lo aprì, estraendo una grossa candela e un acciarino –Siediti- disse al ragazzino indicando le sedie con la punta della candela, lui lo guardò in volto e si diresse verso il centro della camera, si mise in piedi sul tappeto, osservando il corridoio scuro e stretto.
-Hai fame?- chiese l’uomo girandosi verso il ragazzino –Ehi, stai lontano da li- disse, estrasse dal baule un paio di pagnotte e una mezza forma di formaggio, si alzò e si diresse al tavolino, appoggiò il cibo.
Il ragazzo fissava il corridoio con gli occhi spalancati, all’uomo sembrò quasi che non respirasse.
-Su vieni- disse l’uomo prendendolo per il braccio scarno e conducendolo alla sedia –Dobbiamo mangiare in fretta, poi spegnere le luci, o ci troveranno-
Fece sedere il ragazzino e si sedette a sua volta, gli allungò una pagnotta ed estrasse il coltello con cui tagliò un paio di fette di formaggio –Ti devono bastare- disse mentre tagliava –Ma non ti preoccupare, presto verranno a salvarci - detto questo diede un morso alla pagnotta e si mise a masticarla con foga.
Il ragazzo diede un’occhiata alla cena come si guarda un sasso, poi tirò indietro la sedia e tornò al centro della stanza, a fissare il corridoio.
L’uomo si alzò di scatto e la sedia cadde a terra sbattendo –Oh, forza! Ma che guardi?-  Gli afferrò un braccio e lo tirò, ma gli sembrò di muovere un macigno.
Dal fondo del corridoio venne un gemito attutito, poi un colpo di tosse. Il ragazzino partì ad ampi passi e si inoltrò nell’ombra –Fermati!- urlò l’uomo tirando la camicia del ragazzino, lui non si fermava, l’uomo lo afferrò per le spalle gracili–Fermo, fermo, fermo- diceva, e ad ogni parola tirava più che poteva, ma non serviva a niente.
Il ragazzo raggiunse la porta di legno in fondo al corridoio, l’uomo lo scavalcò e si mise in mezzo urlandogli di fermarsi, erano più guaiti rotti da accessi di pianto isterico che parole.
L’uomo cercava un contatto visivo con il ragazzo, ma lui guardava solo davanti a se, all’altezza del suo petto, fu spostato da un tocco leggero con la schiena appoggiata alla parete laterale del corridoio.
L’uomo sentì la porta aprirsi cigolando, avrebbe giurato di averla chiusa a chiave.
Il volto del ragazzo si illuminò della luce danzante di una candela, dalla stanza venivano dei rantoli intermittenti e un gran puzzo di vomito e merda, ma lui sembrava non sentirli, varcò la soglia.
Dopo un attimo di intontimento l’uomo entrò nella stanza ansimando. Vide ciò per cui aveva urlato, sua moglie era a terra, stesa sul fianco nella loro direzione, i polsi legati dietro la schiena così come le caviglie.
Davanti al volto della donna, poggiato con la guancia sul pavimento, vi era una pozza di vomito chiaro, i capelli ne erano impregnati, la tunica da notte bianca era sporca di escrementi e lacera.
La creatura respirava a fatica, il suo volto sofferente era attraversato da strani ghigni e smorfie nel sonno, gli occhi si muovevano a scatti sotto le palpebre.
Il ragazzo alzò il braccio destro con l’indice puntato sulla donna a terra, un globo di luce azzurra grande come la capocchia di uno spillo brillava sulla punta dell’unghia, illuminando tutta la stanza.
-Fermo- disse l’uomo mettendosi in mezzo – Non ucciderla, può guarire!-
Il ragazzo scosse la testa lentamente, la sfera divenne grande quanto una mela in un istante.
-Ti prego- disse l’uomo prendendo il braccio teso del ragazzo con delicatezza, il volto era sconvolto dal pianto e gli occhi rossi –Lasciamela portare via, poi farai quello che vuoi con gli altri-
L’uomo urlò, poi strinse i denti singhiozzando, si voltò lentamente verso la donna, la sua bocca era serrata intorno alla caviglia, i denti incidevano la carne.
L’uomo tornò a fissare il ragazzo con il volto scosso dagli spasmi, lei continuava a morderlo, quando si ritrasse con un pezzo della sua carne in bocca sghignazzò sommessamente.
L’uomo crollò a terra con la caviglia che sprizzava sangue, il voltò del ragazzo ne fu inondato, la donna rise istericamente mostrando la carne triturata tra i denti.
-Hai visto, servo?- Disse gorgogliando- Abbiamo ucciso una città intera, sono tutti nostri-
Il ragazzo la guardò storcendo la bocca, non si mosse.
-Anche adesso sento che si dibatte-  disse la creatura a terra- Sapessi quanto confidava in voi, sapessi quanto l’avete delusa lasciandoci prendere il controllo della sua mente senza fare nulla.
-Rebeq- Urlò l’uomo alzandosi in ginocchio, aveva il coltello in mano, la lama riluceva di azzurro –Mi senti?- disse avvicinandosi strisciando alla donna legata che fissava la lama del coltello con occhi spalancati e sibilando –E’ arrivato, Rebeq- Urlò l’uomo, gli sfuggì un gemito, si portò a fianco della donna e calò la lama sul petto, conficcandola nello sterno.
Il corpo della donna si tese, ogni muscolo si contrasse, poi dagli occhi uscì una nube scura, entrò in quelli dell’uomo che fece un ghigno mostruoso.
-Grazie- disse lei in un soffio, poi gli si rivoltarono gli occhi e franò sul pavimento senza più vita.
Ora era l’uomo a ghignare selvaggiamente, si voltò verso il ragazzo e ruggendo gli si avvicinò, lui gli puntò la sfera luminosa in viso, che esplose in un’onda azzurra.
Anche l’uomo cadde con la schiena a terra nella pozza del proprio sangue e rimase immobile a terra.
Dagli occhi spalancati uscì del fumo nero, poi si chiusero, il ragazzo mise la mano con il palmo aperto davanti a se, il miasma vi fu risucchiato.
Il volto del ragazzo si tese e gli occhi si arrossarono, lui li chiuse e mormorò qualcosa, il viso tornò disteso e fanciullesco, gli occhi limpidi e rilassati, ma non come prima, ora sembrava più adulto, come se sulla sua faccia fossero passati alcuni anni.
 L’uomo tossì, si girò su un fianco e aprì gli occhi, si alzò in ginocchio, poi in piedi, si guardò la caviglia e la vide intatta. La tunica era inzuppata del suo sangue dal collo ai piedi, diede un’occhiata al corpo di Rebeq a terra, gli occhi della donna erano chiusi delicatamente, le labbra erano curvate in un leggero sorriso.
L’uomo si voltò verso il ragazzo, ora le loro teste erano quasi alla stessa altezza ,ma lui non riuscì a guardarlo negli occhi –Mi dispiace, mi sono comportato come uno sciocco con voi- farfugliò.
Il ragazzo lo prese per il braccio con delicatezza e lo accompagnò lentamente attraverso il corridoio, nella stanza del tavolo e del baule, illuminata dalla candela.
L’uomo guardò il pane e il formaggio, e rabbrividì pensando a chi era stato al tavolo con lui.
I suoi pensieri furono spazzati via dalle urla e dagli strilli fuori dalla porta, lui cercò il coltello ma non lo trovò, si nascose d’istinto dietro il ragazzo.
-Vai- disse una voce profonda e potente- Prendi il mio cavallo e scappa il più lontano possibile, distruggerò ogni cosa.
L’uomo si scostò, tremava come un vecchio, si precipitò al tavolo e prese il cibo, nascondendolo in una tasca interna della tunica, poi si voltò verso il ragazzo, non osò guardarlo in volto – Ti ringrazio- Disse.
La porta fu scossa da un colpo, poi da un altro, sembrava che qualcuno si lanciasse contro il legno senza curare dell’integrità del proprio corpo, era sicuramente così. Al terzo schianto la porta si aprì, il ragazzo corse in avanti con la mano alzata, un’ondata di luce azzurra investì le due creature scheletriche e sgraziate sulla soglia, che lanciarono grida disumane.
L’uomo uscì nell’aria fresca del crepuscolo scansando i cadaveri in pose innaturali a terra, montò sul ronzino con un balzo e si voltò verso la porta, il ragazzo dall’uscio lanciò una sfera verso il cavallo, che ora brillava nell’oscurità. La bestia si lanciò nell’oscurità del vicolo illuminandolo di luce bianca, travolgendo ogni ossesso sulla sua strada sotto gli zoccoli, l’uomo si reggeva tremando alle redini, chino sulla sella.
Giunti sulla via principale, il cavallo girò a sinistra, ora gli ossessi sembravano temerlo, si scostavano dalla sua strada, l’uomo vide uomini che conosceva fin da bambino soffiargli in faccia come gatti isterici o tentare di afferrargli i piedi, respinti dalla barriera luminosa che lo proteggeva.
Uomo e animale varcarono il portone in volata, inoltrandosi nella landa desertica e oscura.

Aveva cavalcato tutta la notte, prima nella grande strada polverosa che correva dritta attraverso il paesaggio piatto e deserto, poi era arrivato alle pendici delle colline, allora erano iniziate le mulattiere poco battute e sassose, il cavallo camminava in bilico su strapiombi sempre più scuri e alti.
Ad un certo punto, nel cuore della notte e lungo una di queste strade mortali, l’uomo si accorse di avere le palpebre pesanti, si aggrappò al crine dell’animale e vi nascose il volto dolorante per le sferzate del vento gelido.
Si addormentò pregando di non cadere negli abissi.

L’uomo si risvegliò di soprassalto alle prime luci dell’alba, aveva sognato di cadere e la vista delle colline coperte di ulivi che degradavano verso il basso lo fece piangere di gioia
Alzò lo sguardo e scrutò la valle davanti a lui, c’era un villaggio, una manciata di casette cubiche e bianche strette intorno a una torre bassa e tozza. L’uomo urlò di gioia.



 In quell’istante tutti gli ulivi si piegarono in avanti. L’uomo e il cavallo furono sbattuti a terra da un vento potente come il pugno di un gigante. Un’ondata di polvere e sassi li investì. L’uomo urlò ma non sentì la propria voce, rotolò per decine di metri lungo il pendio roccioso, i sassi gli si infilavano nella carne, batté la testa scontrò qualcosa di duro, poi il dolore ebbe fine.
Per La Parte Successiva

martedì 7 ottobre 2014

Sodoma, parte 1


Le mura iniziavano a fare ombra sull’uomo seduto a gambe incrociate. Sedeva con la schiena poggiata alla parete di mattoni e calce che circondava la città, a fianco del grande portone di legno spalancato.
L’uomo si tolse il cappello di paglia a tesa larga e lo poggiò al suolo, spalancò gli occhi notando qualcosa nella pianura sterile e deserta che gli si parava davanti, un tizio a cavallo la stava attraversando venendogli incontro, sollevava una grossa nuvola di polvere.
L’uomo seduto afferrò il coltello dal manico d’osso che giaceva a terra alla sua destra.
Il cavaliere spronava la bestia del colore della polvere, andava forte. L’uomo si alzò e si batté con il palmo sinistro la tunica che un tempo era stata bianca, stringeva il manico liscio del coltello.
Quando il cavaliere fu a un centinaio di metri di distanza,  l’uomo si avvicinò camminando a passi ampi e agitando le braccia.
 Il cavaliere mollò le redini e si tolse il turbante che cadde a terra , ne emerse un volto pallido e cosparso di lentiggini, da ragazzino, i capelli biondi arruffati, occhi grigi, la bocca sorridente formata da sottili labbra purpuree .
-Vattene- urlò l’uomo a terra , era nella sua traiettoria.
Il ragazzo non fermò il cavallo, anzi, diede un colpo di tacchi al ventre dell’animale, questo accelerò l’andatura. Quando furono a poche spanne, l’uomo si scostò di colpo, guardò cavallo e cavaliere dirigersi verso il portone spalancato, dentro si vedeva una strada acciottolata deserta fiancheggiata da edifici bassi e bianchi, le finestre e le porte serrate.
-Fermati idiota!- Urlò di nuovo l’uomo correndogli dietro- Ti farai ammazzare! Sono pazzi-
Il ragazzo continuò a cavalcare verso la porta, la passò ed entrò in città. L’uomo urlò frustrato e gli corse dietro.
Il giovane straniero fermò il cavallo in mezzo alla strada, saltò giù a terra e prese la bestia per le redini.
L’uomo gli corse accanto e gli afferrò la spalla sinistra, era ossuta e sottile, lo fece girare con il volto verso di se, il ragazzo lo guardava sorridente –Sei stupido?- Gli urlò l’uomo in faccia, non scalfendo minimamente il sorriso sciocco.
“Deve avere qualcosa che non va” pensò l’uomo sorridendo suo malgrado a quel ragazzo albino e ritardato.
-Andiamocene- Disse l’uomo –Usciranno presto-  Rinfoderò il coltello, prese il ragazzo per mano e lo condusse lungo la via a passo svelto, con il cavallo che li seguiva mansueto, l’ultimo bagliore del sole faceva capolino dai tetti e lo accecava.
L’uomo tirò la mano del ragazzo portandolo in un vicolo a destra, li era già crepuscolo. Percorsero la strettoia calpestando scheletri scricchiolanti e alcuni cadaveri ancora in decomposizione, dilaniati dai morsi e con i crani congelati in un urlo muto.
Il ragazzo continuava a camminare guardando i teschi e storcendo la bocca, ma niente di più.
L’uomo lo guardava scuotendo la testa.
Arrivarono sul fondo della viuzza, che terminava con una casa a un piano, una porta e una finestra che si affacciava sulla strada.
L’uomo diede un’occhiata al ragazzo che teneva per mano, guardava in alto.
-E il cavallo?-  Gli chiese  indicando la bestia che fiutava l’aria e scuoteva la coda scacciando le mosche.
Il ragazzino lo guardò in volto sorridendo, lasciò la presa delle redini che caddero a terra.
-Allora un po’ capisci- Disse l’uomo- Mi dispiace per il tuo ronzino- Il ragazzo non diede segno di aver inteso.
-Va bene- Disse l’uomo, andò ad aprire la porta e fece entrare il ragazzo, poi entrò a sua volta e diede un’ultima occhiata alla stradina cosparsa di ossa, rabbrividì e chiuse.

Presto il sole sarebbe scomparso.
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mercoledì 1 ottobre 2014

Due semplici modi per trovare idee


E’ vero che spesso le idee arrivano in modo improvviso e misterioso, entrano violentemente nella testa e urlano distraendo il malcapitato fino a quando non prende un foglio e le butta nella carta con un sospiro di sollievo, è altrettanto vero  però che a volte le idee hanno bisogno di un piccolo stimolo, o una spinta più forte, per apparire in un cervello stanco e polveroso.
Penso che il modo migliore per pensare in libertà sia mollare tutto e andare a farsi un giro. Durante una passeggiata si è sottoposti a un’enorme dose di stimoli, sia che si scelga un percorso tranquillo in campagna o in un bosco, sia se piuttosto si preferisce restare nel rassicurante abbraccio della civiltà e si percorrono le vie di un paese, una città, un centro commerciale, dove è possibile osservare il comportamento delle persone, sentirle parlare tra loro e trarne una grande ispirazione.
 Anche il tempo atmosferico fa la sua parte, una giornata nuvolosa getta un’ombra che si riflette anche nei pensieri.
 Per ovvi motivi la spiaggia è sempre la scelta migliore, a prescindere da tutto.
Purtroppo non posso consigliare un giro in macchina (non ho ancora la patente ) ,la bici è comunque un ottimo mezzo, dato che permette il movimento con poco sforzo e , se la strada non è trafficata e lo consente, anche con minore concentrazione.
 Anche andare a piedi va bene, ma sinceramente non lo preferisco alla bicicletta.
Una volta in viaggio è essenziale che la mente vaghi per conto proprio senza imporre costrizioni del tipo “devo assolutamente trovare un’idea o morirò”, l’idea arriva da sola in modo naturale, almeno dovrebbe.
Si può fare anche completamente l’opposto, chiudersi in casa con una pila di Dvd, fumetti e libri e iniziare un procedimento di bombardamento di stimoli “artificiali”.  Ovviamente  se questo materiale appartiene a generi cinematografici e letterari poco sperimentati o  nuovi a chi li vede l’effetto sarà molto più potente, duraturo e arricchente.
A me è successo di recente con Kill Bill, non che il film abbia significati profondi o particolarmente importanti, ma il modo in cui è impostata la trama e il rapporto tra l’eroina e i suoi nemici mi hanno dato parecchi spunti per creare storie un po’più intricate e divertenti condite con un po’ di buona e sana violenza splatterosa.
Anche la visione di La principessa Mononoke mi ha dato spunti, in particolare sull’inserimento di dilemmi morali importanti all’interno di una storia, ma di questo film (stupendo) voglio parlare in modo approfondito in un prossimo articolo.
Anche in questo caso non bisogna assolutamente costringersi a pensare all’idea, è sufficiente accendere il cervello e godersi il film/fumetto/libro consci che sarà lui stesso a porgerti idee e stimoli su un piatto d’argento.